Condominio: Parti comuni. Non serve il sì di altri condomini. Libertà di apertura della finestra sul muro perimetrale.
Con la recente sentenza 53 del 2014 la Corte di cassazione) () ha affermato che gli interventi sul muro comune, come l’apertura di una finestra o di vedute, l’ingrandimento o lo spostamento di vedute preesistenti o la trasformazione di finestre in balconi, sono espressione del legittimo uso di parti comuni per gli effetti dell’articolo 1102 del Codice civile. Con tale pronuncia la Corte Suprema ha ribadito un consolidato orientamento che negli ultimi tempi ha subito un’evoluzione significativa in relazione ai limiti previsti dal citato disposto codicistico (articolo 1102 del Codice civile) il quale consente a ciascun condomino di «servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto» sempre che ciò avvenga nel rispetto dei divieti di cui all’articolo 1120 e delle norme edilizio-urbanistiche. Per quanto attiene all’alterazione della destinazione del bene comune (limite cosiddetto qualitativo) la giurisprudenza unanime ormai da tempo insegna che, poiché i muri perimetrali di un fabbricato condominiale adempiono alla funzione di recingere l’edificio, delimitandone il perimetro, semmai anche di sorreggere le strutture e di contenere le porte, le finestre e i balconi eccetera, il singolo condomino può legittimamente utilizzare il muro comune per aprire nuove porte e finestre (Cassazione, sentenza 5122/1990) ovvero per trasformarle in balconi o in vetrine di esposizione (Cassazione, sentenza 1390/1971) anche mediante l’abbattimento del corrispondente tratto del muro che delimita la proprietà del singolo immobile (Cassazione, sentenza 2703/1989), perché queste modifiche non incidono sulla destinazione del muro (Cassazione, sentenza 420200/2005). Quanto al pari uso degli altri partecipanti al condominio (il cosiddetto limite quantitativo), sempre secondo la giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sentenza 14107/2012), l’uso particolare e più intenso che il singolo condòmino intende trarre dal bene comune (il muro perimetrale) deve essere compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Quindi, in sostanza, se il singolo condomino voglia demolire una porzione di muro per ampliare o ricavare porte o finestre o per installare vetrine nel tratto corrispondente all’immobile di sua proprietà esclusiva, si verifica solo un uso più intenso (legittimo) che non impedisce né limita l’altrui pari uso, tenuto conto delle ragionevoli prospettive offerte dalle porzioni di muro valutate in concreto. La Suprema Corte ha anche fatto un’altra importante precisazione: per queste opere modificative, sempre che non alterino la destinazione del muro, non impediscano l’altrui pari uso e/o non compromettano il decoro dello stabile, non c’è alcuna necessità di ottenere l’approvazione assembleare, trattandosi di esercizio delle facoltà inerenti al diritto dominicale su parti comuni (si veda anche la sentenza di Cassazione 3508/98); e se il condomino intendesse comunque sottoporle all’assemblea per ragioni di civile convivenza, l’eventuale autorizzazione concessa non può che interpretarsi come mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione, mentre l’eventuale delibera contraria non preclude al richiedente la possibilità di attuare la modifica, indipendentemente dalla mancata impugnazione della stessa (si vedano anche le sentenze di Cassazione 1554/1997 e 3508/1999).
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